Verso l’attuazione delle norme sulle Comunità di Energia Rinnovabile, il grande potenziale ambientale, economico e sociale dell’energia prodotta e consumata direttamente dai gruppi di cittadini
A poco più di un anno dalla pubblicazione della direttiva europea 2018/2001 riguardante le cosiddette Comunità Energetiche, quindi la promozione dell’energia da fonti rinnovabili secondo il principio dell’autoconsumo condiviso, anche il Governo Italiano si è attivato per regolamentare e promuovere questa novità.
Con il via libera del decreto Milleproroghe, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso febbraio, decollano quindi l’autoconsumo collettivo e le “comunità di energia rinnovabile”. Comunità, condomini, famiglie e imprese potranno finalmente autoprodurre e autoconsumare collettivamente energia pulita.
Ne parliamo con l’Ing. Bruno Tommasini, esperto in gestione dell’energia e nella realizzazione di impianti ad energie rinnovabili.
Con il via libera del decreto Milleproroghe, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, decollano l’autoconsumo collettivo e le comunità energetiche. Condomini, famiglie e imprese potranno finalmente autoprodurre e autoconsumare collettivamente energia. Secondo te questa normativa, che si sta definendo in Italia a livello istituzionale, avrà effetti positivi e creerà un impatto sensibile nel panorama nazionale della produzione di energia verde?
Le potenzialità sono enormi, basta immaginare che questa soluzione avrebbe un’applicazione perfetta in situazioni come i condomini o i piccoli villaggi, situazioni quindi molto comuni sul nostro territorio.
La possibilità di scambiarsi l’energia autoprodotta tra un gruppo di consumatori, aumenterebbe tantissimo l’efficacia degli impianti solari, che sono per natura “discontinui” e quindi fanno fatica ad abbinare contemporaneamente la produzione e il consumo.
Così come la convenienza di sistemi di cogenerazione, dove la produzione di elettricità avviene insieme alla produzione di calore, come potrebbe essere in tutti gli impianti di riscaldamento centralizzato.
Bisogna però fare notare che il decreto Milleproroghe rimanda a decreti attuativi che ancora non sono stati pubblicati e quindi ancora non c’è niente di concreto al momento. Restiamo fiduciosi in un prossimo chiarimento.
Di organizzazioni collettive, la cui principale, ma spesso non unica, finalità è la produzione e vendita di elettricità ai propri associati, ne esistono in Italia e in Europa da più di un secolo. Quali facilitazioni in termini pratici ci possiamo aspettare dall’attuazione della normativa.
Cercando di essere sintetico, direi che il vantaggio maggiore può essere che le piccole produzioni distribuite di energia, soprattutto se generata con fonte rinnovabile, potrebbero diventare più efficaci e di conseguenza più convenienti anche economicamente delle grandi produzioni centralizzate che si affidano fondamentalmente alle fonti fossili o al nucleare.
Le prospettive, soprattutto per un paese come il nostro, che è dipendente dall’estero per le fonti fossili, ma è straordinariamente fortunato in quanto a possibilità di ottenere energia da fonti rinnovabili, sono potenzialmente fantastiche. Possiamo dire che, almeno da questo punto di vista, siamo “baciati dal sole”.
L’economista e attivista americano Jeremy Rifkin ha definito lo sviluppo delle comunità energetiche come la “terza rivoluzione industriale”. Si è dichiarato molto soddisfatto anche il Vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini. Tu condividi questo entusiasmo incondizionato rispetto a questo tema?
Jeremy Rifkin fa discorsi da molto tempo che lo sviluppo delle comunità energetiche, sarebbero uno sviluppo anche della “democrazia energetica”, che è un concetto molto vicino alla democrazia vera e propria.
Vuol dire andare nella direzione di avere maggiore autonomia e indipendenza delle popolazioni, mentre sappiamo che la dipendenza (dalle forme di energia, ma anche dalle altre cose) porta a disparità e, di conseguenza, ad una mancanza di democrazia effettiva, portando negli effetti a tutte le guerre e ingiustizie che purtroppo conosciamo in giro per il mondo.
Come detto però, essendo che siamo ancora in attesa dei decreti attuativi, in questa fase anche l’entusiasmo deve rimanere condizionato. Inoltre, per quanto riguarda l’applicabilità di queste soluzioni, molto dipenderà da come saranno scritti questi decreti e chiunque può immaginare come le questioni in ballo in questo ambito siano enormi.
Indiscrezioni ci dicono che questi decreti attuativi saranno pubblici a fine giugno, proviamo ad aspettare e poi vedremo.
Ci sono iniziative a livello normativo e istituzionale che secondo te dovrebbero essere introdotte per facilitare una effettiva diffusione di questo nuovo soggetto?
A mio avviso ci sono due grossi limiti nella attuale normativa:
Le CER (Comunità di Energia Rinnovabile) possono organizzarsi solo a valle della cabina esistente di MT/BT (media/bassa tensione) e quindi non possono comprendere soggetti che sono collegati alla rete sotto due distinte cabine elettriche, anche se in realtà rappresentano una situazione di produzione e autoconsumo molto funzionale.
Inoltre sembra che gli impianti di produzione a fonte rinnovabili già esistenti e diffusi nel territorio non possono partecipare alle nuove CER.
Se ciò fosse confermato, sarebbe a mio avviso un grosso limite, perché toglierebbe dal mercato tutti quei soggetti, più motivati, che hanno creduto ed investito in anticipo nelle fonti rinnovabili, e che che farebbero volentieri il “salto” qualitativo verso il modello di sostenibilità integrale (sociale ed ambientale) rappresentato dalle Comunità di Energie Rinnovabile.
Questi “pionieri” dell’energia pulita in Italia farebbero volentieri da “apripista” al diffondersi di questa buona pratica.
Attualmente il tema della produzione collettiva di energia condivisa è sottoposta a due diverse normative: una contenuta nella direttiva europea RED II, che definisce la comunità di energia rinnovabile (CER); l’altra nella direttiva sul mercato elettrico, che norma la comunità energetica dei cittadini (CEC). Secondo te è necessaria l’unificazione delle due normative?
Personalmente non sono d’accordo nella unificazione delle due normative perché ognuna risponde a livelli di complessità differenti, potendo così garantire un adattamento migliore degli utenti “prosumers” alla complessità del mercato elettrico.
Le differenze principali fra le CEC (Citizen’s Energy Community) e le CER (in inglese REC, Renewable Energy Community) sono:
1 Alle CEC è concessa la possibilità di configurarsi come veri e propri distributori, in qualità di proprietari o gestori della rete di distribuzione, o come sistemi di distribuzione chiusi (SDC).
A questa nuova fattispecie deve essere inoltre garantita la possibilità di partecipare a tutti i mercati dell’energia fra cui anche quello del dispacciamento (MSD) che potrebbe aiutare ulteriormente a bilanciare il sistema elettrico verso un modello di produzione sempre più distribuito.
A questo proposito, ricordo che l’ARERA con la delibera 300/2017 ha dato il via libera al processo di allargamento della platea di fornitori di servizi di regolazione, avviando con Terna una serie di progetti pilota per permettere la partecipazione al mercato dei servizi di dispacciamento (MSD) a nuovi soggetti ad oggi non abilitati, introducendo le Unità Virtuali Abilitate (UVA) e la figura dell’aggregatore in qualità di abilitatore della partecipazione delle unità non rilevanti al Mercato dei Servizi di Dispacciamento (MSD).
Gli aggregatori sono quindi soggetti che possono offrire a Terna dei profili temporali programmati di quantità di elettricità richiesta (Demand) e di migliore fonte disponibile in quel momento (Response), contribuendo alla regolazione del sistema.
2 Alle CEC è concesso di scambiare l’energia elettrica prodotta con i soci della comunità anche senza essere in prossimità degli impianti o a valle dello stesso contatore; nelle CER, i soci devono essere localizzati in prossimità dell’impianto di produzione (in Italia, a valle della cabina MT/BT)
3 A differenza delle CER, le CEC non sono soggette all’obbligo di utilizzare energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili
4 Le CEC non prevede delle limitazioni sulla forma giuridica della comunità energetica: questa può dunque configurarsi anche come piccola-media impresa. Le CER non devono avere scopo di lucro.
5 I regimi tariffari, i benefici dell’energia condivisa, gli incentivi ed il sistema fiscale saranno diversi nei due casi
In quali ambienti territoriali in Italia ha secondo te le migliori prospettive di sviluppo le comunità energetiche: ambienti urbani o piccole e medie comunità?
Come ho già detto in precedenza, ci sono ottime prospettive sia per i condomini, che per situazioni come piccoli quartieri, piuttosto che villaggi, frazioni o anche località isolate.
Tecnicamente, c’è bisogno che la comunità energetica abbia una rete elettrica che colleghi già tutti i soggetti interessati e possa diventare facilmente una “isola” indipendente dagli altri.
Nei condomini, i contatori attuali (sia quello condominiale che quelli privati) sono attaccati a un unico punto di fornitura. Nei quartieri o nelle frazioni, tutte le utenze sono di solito sotto il servizio di un’unica cabina elettrica, che diventerebbe il punto di “distribuzione” dell’energia prodotta e autoconsumata.
Se noi ragioniamo sulle fonti rinnovabili (principalmente sole e vento), gli ambienti extraurbani sono chiaramente favoriti, ma non bisogna dimenticare che anche nelle città ci sono tantissimi tetti disponibili oltre alle possibilità della cogenerazione.
Secondo te è possibile che grazie alle comunità energetiche e alla regolamentazione che si sta definendo in Italia si arrivi alla diffusione di piccoli centri urbani che diventano totalmente energeticamente autosufficienti?
Sarebbe il mio auspicio e il senso ultimo di questa riforma. Invito tutti i cittadini sensibili ad avere un atteggiamento proattivo, a fare pressione su istituzioni e amministrazioni locali, ma anche sui propri condòmini e sulle proprie comunità, per andare proprio in questa direzione.
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